Paesaggi di confine
data: 27.11.2015
categoria: notizie
L'uomo giusto (con i film giusti) al posto giusto. È stata questa l'impressione ricavata al termine della bella serata tenutasi a San Pietro al Natisone, quarta data del Premio Darko Bratina 2015: dopo l'intensa giornata goriziana, trascorsa tra masterclass e cerimonia di premiazione, un appuntamento decisamente più rilassato per il cineasta ticinese Villi Hermann. Dopo un'escursione alla scoperta del Collio goriziano, e delle opere di Zoran Mušič esposte al castello di Dobrovo, rotta verso San Pietro e lo SMO – Slovensko Multimedialno Okno (Finestra multimediale slovena). A fare gli onori di casa è stata Donatella Ruttar, curatrice di questo affascinante spazio dedicato alla valorizzazione di un paesaggio culturale che va dal Mangart al golfo di Trieste: i pannelli, gli schermi e le installazioni visive e sonore hanno dato a Hermann e signora l'opportunità di scoprire elementi di un mondo per molto aspetti non troppo distante dal loro, come lo stesso regista ha riconosciuto.
Al momento delle proiezioni, l'ospite ha riservato al pubblico una sorpresa, avendo deciso di aggiungere al programma prestabilito una piccola chicca: 10ème essai, breve cortometraggio girato in piano sequenza. “Fu il mio primo lavoro dopo il diploma a Londra,” ha spiegato l'autore, “incentrato sulla bandella musicale di Castelrotto, il mio paese. Alcuni dei musicisti erano anche contrabbandieri, e in quella veste li avrei poi impiegati in 24 su 24.”
L'analogia tra la realtà ticinese e quella del Natisone è apparsa ancora più chiara anche agli spettatori quando si è passati a Greina. Basato da Hermann su un suo lavoro precedente realizzato in occasione dell'Expo svizzera del 2002, il documentario testimonia in maniera implacabile l'”evoluzione” di un alpeggio in cui la pastorizia, da artigianato, è costretta dalle normative europee a diventare industria.
E se questo salto verso la modernità sembra trovare un ironico contrappunto nel continuo utilizzo del dialetto da parte del protagonista, l'aspetto linguistico è senz'altro evidente in Giovanni Orelli. Finestre aperte, titolo che ha chiuso un trittico molto locale. Il documentario è un video-ritratto di “uno dei maggiori autori svizzeri contemporanei, e non penso solo a quelli di lingua italiana. Lo amo non solo per le sue opere,” ha spiegato il regista, che proprio da una di queste aveva tratto il suo Matlosa, “ma anche per il suo impegno politico a difesa di una lingua e di un'identità.” L'immagine fornita dal film è quella di un uomo appassionato ad ogni aspetto della realtà che lo circonda e di cui si dimostra profondo conoscitore, mantenendo al tempo stesso una curiosità ed una vivacità ammirevoli. Perché, come conclude Hermann a fine serata citando proprio Orelli, “bisogna ricordare il passato ma vivendo nel presente.”