L'Innocenza di un regista camaleontico
data: 29.11.2015
categoria: notizie
“Un fotografo ha a disposizione una trentina di scatti per rullino; io ho 25 frame al secondo”. Questa la frase con cui Villi Hermann ha sintetizzato il rapporto tra l'attività di chi cattura immagini fisse e la sua idea del fare cinema. Un'idea che è stata ampiamente sviluppata nel corso dell'incontro tenutosi sabato a Izola, nell'ambito della 5a giornata del Premio Darko Bratina 2015.
La giornata era iniziata letteralmente a cavallo del confine, con il cineasta ticinese e la moglie a visitare la piazza Transalpina (luogo quanto mai simbolico dell'incontro tra Gorizia e Nova Gorica). La carovana festivaliera si è quindi trasferita nella località costiera slovena, dove il suddetto incontro è stato il preludio alla proiezione di Innocenza, una tra le poche prove di fiction nella carriera di Hermann. Una volta di più il regista ha però tenuto a sottolineare come non ami fare troppe differenze tra la forma documentaria e l'opera di finzione: “Anche nei miei documentari propongo delle soluzioni tecniche complesse, riprese per le quali a volte sono necessari anche due giorni di preparativi: questo perché sento la necessità di dare la maggiore visibilità possibile a determinati personaggi o situazioni.” Una filosofia che, come ha sottolineato la critica Beatrice Fiorentino – interlocutrice del premiato insieme a Nives Zudič Antonič (rappresentante della Comunità italiana di Izola) - “fa sì che quella di Hermann sia una regia camaleontica, che muta di volta in volta a seconda del carattere del singolo progetto.” Come nel caso appunto di Innocenza, dove la fotografia e gli elementi scenografici sono volti ad accentuare la sensualità della protagonista: “Ho usato molto il rosso vedendolo come simbolo di trasgressione; avevo addirittura chiesto a Enrica Maria Modugno di indossare delle mutandine rosse, sebbene poi nel film non si vedano“, ha ricordato l'autore, spiegando poi come comunque “in generale nel mio lavoro sulla luce cerco ispirazione in dipinti e fotografie, piuttosto che in altri film.”
La vicenda produttiva del film proiettato in serata all'Art Kino Odeon è poi un altro capitolo dell'ideale libro sulle difficoltà di fare cinema in Ticino: “Dopo il successo di Matlosa credevo che avrei avuto più facilità a vedere i miei progetti accettati, e pensai ad una trilogia basata su opere letterarie di autori svizzeri di lingua italiana, che avesse il lago come elemento comune. Putroppo i potenziali produttori non si dimostrarono convinti, così di quel progetto è rimasto un unico capitolo, appunto Innocenza.” Un capitolo che, sebbene apparentemente dissimile da altre opere del regista, presenta comunque declinazioni di un tema tipicamente hermanniano come quello del confine, che nelle opere dell'autore, ed in particolare in Innocenza, “è anche quello tra adolescenza ed età adulta, tra pubblico e privato”, ha rilevato Fiorentino. E queste declinazioni fanno sì che il film possa essere accostato, a diverso titolo, ad altre opere pure molto diverse tra loro: “mi ha ricordato Un anno di scuola di Giraldi, per il forte personaggio femminile, e Il vento fa il suo giro di Diritti, per l'idea dell'intrusione di un estraneo all'interno di un tessuto sociale coeso.”
Un concetto, quello dell'estraneità, che è destinato a ritornare anche nei due film in programma oggi al Miela di Trieste: Matlosa e Bankomatt...