SLOITA

Riflessioni sulle opere di Helke Misselwitz

data: 11.10.2022

categoria: notizie

Helke Misselwitz: Cinema di evasione, Cinema fatto di persone

 

herzsprung cop

 

Dove vuoi andare? -

Sempre in un posto dove non mi trovo al momento. Avanti, semplicemente avanti.

(tratto da Herzsprung, di Helke Misselwitz)

 

Per molto tempo il concetto di evasione ha avuto un’accezione negativa nella mia vita. Da ragazza avevo imparato solo come si fugge da codardi. Chi lasciava la scuola o l’allenamento di calcio veniva colpevolizzato e c’era sempre un adulto nei paraggi che lo puniva per essersi comportato in modo deplorevole. I pilastri della mia educazione si reggevano sull'accettazione delle sfide ed il rispetto delle regole. E lo ammetto, bene o male, sino ad oggi credo nei valori quali responsabilità e affidabilità.  Ma quando ho letto una versione riadattata per bambini dell’Iliade di Omero, per la prima volta mi sono sentita confusa. Perché da Hector mi sarei aspettata che scappasse invece di affrontare Achille, che era in ogni caso più forte. Ciò che ho imparato allora non lo dimenticherò mai più: scappare può essere un atto di responsabilità maggiore che rimanere. Ed è anche molto più umano. Scappare, dopo tutto, è anche un movimento verso la possibile libertà. Nei film di Helke Misselwitz dovevo confrontarmi con questo tipo di fuga costantemente. I suoi personaggi sono in fuga. Sono prigionieri di società, storia, patriarcato e scappano per salvarsi. Nella loro fuga vi è molta dignità. Non sanno necessariamente dove andare. Ma ci provano. Sarebbe troppo facile associare il loro bisogno di fuga soltanto al sistema politico della DDR. Questo tipo di fuga non ha nulla a che fare con le persone che tentano di attraversare il confine interno tedesco. La fuga può trasformarsi in forme molto più complesse rispetto al semplice scappare. Nei film di Misselwitz ho incontrato sognatori ad occhi aperti, danzatori, amanti, lavoratori ed anziani dimenticati dalla società ma che reclamavano la loro voglia di vivere. La fuga è connessa con il desiderio. È un bisogno umano che viene rappresentato anche nei film di Misselwitz realizzati dopo gli anni all’accademia DEFA quando finalmente ha potuto realizzare fiction come Herzsprung o Engelchen.  Nata a Zwickau nel 1947 Misselwitz ha seguito un percorso inusuale nell’ambito del sistema di carriera regolamentato della DDR. Dopo aver lavorato per la televisione è stata assegnata alla scuola di cinema di Potsdam-Babelsberg, dove ha studiato regia mentre cresceva un figlio in una pensione ed ha realizzato alcuni meravigliosi cortometraggi che ritraevano individui alle prese con la storia tedesca. Dopo gli studi ha rifiutato di ritornare alla televisione, un passo rischioso che l’ha obbligata a lavorare come cameriera, tra l’altro. In ogni caso ha iniziato anche a lavorare con l'accademia DEFA, realizzando cortometraggi come Marx Familie o Aktfotografie, z.B. Gundula Schulze. Fin dall'inizio ha sfidato le narrazioni e le aspettative ufficiali nutrite nei confronti dell'arte e delle donne lavoratrici. È da queste narrazioni e dagli obblighi ideologici che Misselwitz ha cercato di fuggire. Con quali mezzi e strumenti? Guardare con i propri occhi, ascoltare, l’essere indipendente, uscire ed andare nel mondo ed il cinema. È vero, anche il cinema può essere una fuga. Non nel senso di evasione, ma come porta di accesso a un mondo in cui vigono altre regole. Almeno per la durata di una ripresa. È possibile scoprire questo altro mondo possibile, guardando le donne che Misselwitz incontra durante il viaggio nel suo film più famoso, Winter Adé. Il film segue il regista che viaggia attraverso la Germania dell'Est e incontra diverse donne che raccontano della loro vita. Il fatto di poter parlare, avere una voce, è un atto di emancipazione o, se si volesse, di fuga. E tutto dipende da dove si volge lo sguardo. Misselwitz ha deciso fin dall'inizio di non guardare né in basso (per timidezza o sottomissione) né in alto (in soggezione all'ideologia o ad altre cose simili confuse dalla luce). Si limita a guardare, a guardare ciò che vede, proprio davanti a sé. Nei suoi film documentario impiega diverse strategie che creano un ambiente in cui sembra possibile condividere le proprie paure e i propri desideri. Ad esempio, quando la regista parla con due ragazze in fuga sotto un ponte in Winter Adé. La cinepresa si tiene a distanza mentre un piccolo ruscello scorre ripreso dall’obiettivo e mentre le due ragazze che si aprono lentamente. Viene inquadrato persino un cigno, e nonostante sia posizionato contro un muro, ci si assicura che sia l’opposto di un interrogatorio. I suoi film dimostrano la bellezza e il valore degli incontri reali. È anche per questo che Misselwitz è sempre presente in prima persona. È un incontro tra persone, non un incontro tra una telecamera ed un soggetto posizionato davanti ad essa. Come è giusto che sia, Misselwitz ha continuato a collaborare strettamente con il suo direttore della fotografia Thomas Plenert, la montatrice cinematografica Gudrun Plenert e la grande fotografa Helga Paris, con la quale condivide molti sentimenti circa le prospettive sulla vita quotidiana nella DDR e la cui vita e il cui lavoro sono al centro del film ritratto di Misselwitz Helga Paris, Fotografin. In un'altra scena di Winter Adé, la regista balla con uno dei protagonisti mentre parlano di vita, lavoro ed amore nel socialismo. Misselwitz si avvicina alle persone perché tiene ad esse. Sembra così semplice, ma a pensarci bene, purtroppo, bisogna ammettere che si tratta di un atto di resistenza in un mondo di burocrazia e cinismo, dove manca l’interesse per il prossimo. Nei suoi documentari la regista si interessa alle persone la cui vita non corrisponde alla narrazione ufficiale della DDR di famiglia felice, ambiente di lavoro sano e parità di genere. Dà voce a coloro a cui è stato chiesto di rimanere in silenzio. Questo vale anche per le sue opere realizzate dopo il crollo della DDR. Dopo il successo di Winter Adé Misselwitz è stata assunta stabilmente all’accademia DEFA per realizzare documentari come Wer fürchtet sich vorm schwarzen Mann e Sperrmüll. C'è un'urgenza sociale nei suoi film di quel periodo, un'urgenza che, con gli occhi di oggi, anticipa la caduta del Muro di Berlino. Tuttavia, non è il tipo di urgenza molto presente nel cinema contemporaneo, quando i discorsi si confondono con la via reale. Per quanto il cinema di Misselwitz sia un cinema di fuga, è anche un cinema di confronto. Fa sì che il pubblico si confronti con le persone. Le vite umane sono sempre più complesse, e sempre più contraddittorie dei programmi politici o degli approcci teorici. Trascendono i confini che le circondano. I sentimenti, le paure, gli errori, le qualità come anche il forte desiderio dei suoi protagonisti di avere una vita migliore popolano l’opera di Misselwitz. Un tanto è palpabile in Wer fürchtet sich vorm schwarzen Mann, in cui la regista non solo ritrae una piccola attività di vendita di carbone da riscaldamento a Berlino gestita da una donna affascinante, ma esplora, esegue una ricognizione, rilevando un malessere generale all'interno di un socialismo disfunzionale. Dalle apparenti chiacchiere filtra la temperatura del declino di un paese. Attraverso l'individuo esplora il luogo comune, quindi esattamente l'opposto di quanto richiesto dall'ideologia dello stato. L'individualità è legata alla fuga ed è importante anche nei film successivi di Misselwitz, quando inizia nuovamente a lavorare come libera professionista. In Herzsprung, ad esempio, le tendenze reazionarie all'interno della società potrebbero non essere più in sintonia con l'ideologia di stato (anche se se ne può discutere), ma sicuramente vivono ancora nelle persone. Ambientato in un villaggio chiamato Herzsprung, situato accanto a una superstrada subito nel periodo successivo all'unificazione tedesca, il film si concentra su Johanna, una vagabonda senza lavoro circondata da uomini dominanti e autocratici, razzisti e ingiustizie. È proprio la vicinanza dell'autostrada a parlare del desiderio di fuga. Nei film di Misselwitz si possono vedere tanti particolari legati al trasporto. Ci sono strade, fiumi e binari, persone che vanno e vengono, attraversano i confini e ballano fino a dimenticare tutto ciò che le circonda. Ciò che accomuna tutti è la vulnerabilità di fronte alla vita e la simpatia che la regista prova per loro. È la stessa vulnerabilità che ho percepito in Hector quando ne ho letto per la prima volta.

Patrick Holzapfel