Mario Brenta, Italia
Premio Darko Bratina. Omaggio a una visione 2017
MOTIVAZIONE
Cineasta di rara essenzialità e rigore, Mario Brenta ci pone di fronte alla realtà come al cospetto di una verità non rivelata, anche se minutamente osservata da un occhio sensibile ma impietoso. La bellezza delle sue opere è la constatazione sottile delle cose, priva di commento, di giudizio, di rumore inopportuno. Notaio del visibile e scienziato dell'insondabile, guarda per comprendere ma anche per comunicare che, nel cinema come nella vita, la realtà è più profonda del nostro sguardo. A una moltitudine di cineasti il suo fare discreto ha schiuso un itinerario di formazione che è stato scuola di vita, piuttosto che di arte.
BIOGRAFIA
Mario Brenta è nato a Venezia. Prime esperienze professionali in campo pubblicitario, all’inizio come grafico, poi come sceneggiatore di spot televisivi. Il cinema è però il suo vero interesse, così si trasferisce a Roma dove lavora per diversi anni come aiuto-regista e sceneggiatore. Durante questo periodo ha modo di girare i suoi primi cortometraggi e di collaborare parallelamente ad alcune trasmissioni televisive. Il suo lungometraggio d’esordio, Vermisat, girato con pochissimi mezzi - storia di emarginazione, di conflitto fra culture - è un po' la rivelazione dell'anno. Invitato nella selezione ufficiale al Festival di Venezia nel 1974, ottiene a S.Vincent la Grolla d'Oro per l'Opera Prima e il Premio Speciale della Giuria (ex-aequo con Prima pagina di Billy Wilder) al Festival Internazionale di Valladolid. Assieme a Professione Reporter di Antonioni e Allonsanfàn dei fratelli Taviani, è l'inatteso terzo finalista del premio Rizzoli per il miglior film della stagione 74/75. Ma gli anni successivi sono dedicati soprattutto al documentario: collabora con RAI 1, con la Sept-Arté e Antenne 2 in Francia e con Svenska Film Institutet in Svezia. Abbiamo così Jamais de la vie! (1983) presentato a Cannes, ed Effetto Olmi (1982) e Robinson in laguna (1985) entrambi in selezione ufficiale al Festival di Locarno. Il ritorno alla fiction è del 1988 con il lungometraggio Maicol, storia notturna, metropolitana, minimale e terribile, di una ragazza madre e del suo bambino di cinque anni, che ottiene il premio "Film et Jeunesse" (Cannes 1988) e, sempre in Francia, il premio Georges Sadoul (ex-aequo con Sweetie di Jane Campion) come miglior film straniero dell'anno 1989 e il premio della Confederazione Internazionale del Cinema d’Art et Essai. Il film è prodotto e girato interamente nell'ambito di Ipotesi Cinema - laboratorio cinematografico, scuola-non-scuola, ideato da Ermanno Olmi e di cui Mario Brenta è stato uno dei fondatori e, tuttora, uno dei principali animatori. Barnabo delle montagne del 1994, opera filmica di realismo magico tratta dal primo romanzo di Dino Buzzati, realizzata in coproduzione con Francia e Svizzera e con l'apporto di Rai Uno e della Comunità Europea, è stata presentata in concorso a Cannes e ha ottenuto un po' dovunque prestigiosi riconoscimenti: dal Premio Italia "Cinema e Società" come miglior film dell'anno 1994, al Gran Premio al Festival Internazionale del Cinema Mediterraneo di Montpellier in Francia, al Premio per la miglior regìa e il Premio Speciale della Critica al Festival Internazionale del Cinema Latino a Gramado, in Brasile, al Premio di Qualità del Ministero dei Beni Culturali; dai Gran Premi al Festival Internazionale della Montagna di Trento (1995) e dei Diablerets in Svizzera (1996) al "Ciak d'Oro come miglior film dell'anno per i costumi e alla Targa "Nestor Almendros" per la miglior fotografia, entrambi nel 1995. Delta Park (2016), Black Light (2015), Corpo a Corpo (2014) Gran Premio Festival di Praga, Agnus Dei (2012), Calle de la Pietà (2010) tutti in co-regia con Karine de Villers ed entrambi premiati a Leeuwarden, Olanda e La pièce (2011) in co-regia con Denis Brotto, che ottengono ampi riconoscimenti in ambito internazionale e di cui Brenta firma anche la fotografia, segnano il ritorno al documentario di creazione. Parallelamente alla professione cinematografica, Mario Brenta svolge attività di docente di Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico e di Iconologia del Cinema presso i corsi di laurea in Scienze della Comunicazione, in Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo e la Scuola di Dottorato In Storia e Critica dei Beni Artistici, Musicali e dello Spettacolo dell’Università di Padova. E’ inoltre titolare dell’insegnamento di regia presso la scuola di cinema della Regione Lazio “Gian Maria Volonté” e presso l’Accademia del Cinema e della Televisione di Cinecittà.
Un ricordo di Mario Brenta su Darko Bratina
Accade, a volte, di incontrare delle persone che si vedono per la prima volta ma che si ha come la sensazione di conoscere da sempre. Forse però sarebbe più giusto di dire “persone con le quali ci si vede per la prima volta ma si ha come la sensazione di conoscersi da sempre”. Sì, quel “si” riflessivo è determinante perché non si tratta quasi mai di una sensazione unilaterale bensì di qualcosa di reciproco di condiviso. E questo è quanto mi pare sia accaduto in occasione del mio primo incontro con Darko Bratina. E’ successo agli inizi degli anni novanta in occasione di una mia breve retrospettiva organizzata dal Kinoatelje di Gorizia di cui Darko era presidente. Non so perché - me lo chiedo ancora oggi - ho avuto da subito la sensazione di ritrovare un vecchio amico, un amico che forse non vedevo da tempo ma con il quale l’amicizia era rimasta sempre viva. Una sorta di velata complicità che traspariva fin dalle prime parole che ci siamo scambiati, quasi si riprendesse un discorso lasciato in sospeso, ritrovando il piacere delle idee e dei sentimenti condivisi; sensazione che si faceva tanto più certezza quanto meno nel nostro dialogo intervenivano le parole ma, piuttosto, gli sguardi, gli ammiccamenti, i sottintesi, il “non espressamente detto”… Perché tutto questo? Per aver avuto in qualche modo nelle nostre vite un percorso simile, parallelo? Per l’aver intrapreso entrambi gli studi d’ingegneria ed averli poi trascurati per indirizzarsi verso la sociologia, da parte di Darko, o invece, per quanto mi riguarda verso l’arte e le discipline umanistiche e per esserci dedicati poi con passione all’insegnamento? O ancora, più semplicemente, per motivi astrologico-anagrafici, per esser nati nello stesso anno, sotto lo stesso segno a pochi giorni l’uno dall’altro e anche, tutto sommato, a non molti chilometri di distanza, Darko a Gorizia ed io a Venezia ma con ascendenze italoaustro-slovene da parte di madre? Chissà… senz’altro per l’amore per il cinema, ovviamente; per Darko davanti allo schermo, per me dietro la macchina da presa ma soprattutto, penso, per il comune interesse, ciascuno nel proprio campo, per quello che possiamo chiamare il valore dell’identità, della diversità - arriverei a dire - pur nell’appartenenza. Per il valore, che Darko ha sempre riconosciuto e difeso anche in campo politico: della dialettica, dello scambio, della ricchezza culturale che le minoranze possono apportare alle culture quantitativamente più dominanti; da parte mia, penso in parallelo, l’attenzione ricorrente al rapporto in chiave esistenziale tra individuo e società, tra uomo e mondo. Un’amicizia, direi, quella con Darko - se mi è concesso il paradosso - di breve durata ma di lunga data. Perché, in fondo, maturata nel tempo attraverso questo parallelismo a distanza, malgrado i nostri pochi incontri effettivi, reali, quasi sempre fortuiti, inaspettati. L’ultimo è stato, ricordo, alla Mostra del Cinema di Venezia, in occasione di una tavola rotonda su cinema e realtà, poco prima della scomparsa di Darko, in cui ci eravamo ritrovati fisicamente (e non solo!) fianco a fianco come relatori, con due interventi non di certo programmati in precedenza ma che, pur nella loro diversità tematica, sembravano per certi aspetti scritti dalla stessa mano. Dell’intervento di Darko, mi avevano una volta di più impressionato la chiarezza, la profondità e l’onestà di pensiero con cui esponeva con semplicità le proprie argomentazioni - qualità già rare allora (e oggi ancor più) tra politici ed intellettuali - e che accompagnava sempre, anche nei momenti più intensi ed accesi, con un sorriso lieve ma aperto e sincero di gioiosa ironica saggezza.
MARIO BRENTA